Quante
volte abbiamo letto che per vivere meglio dovremmo cambiare il nostro
punto di vista, cambiare prospettiva o sviluppare uno “sguardo
differente”?
Cosa
vuol dire? Adesso vi farò capire meglio il problema.
Prendiamo
due persone e immaginiamole difronte ad un'offesa verbale diretta. Le
due persone saranno un occidentale (cioè tutti noi) e un monaco Zen.
Appena
ricevuta l'offesa ingiuriosa l'occidentale scatta immediatamente
all'attacco, oppure si impalla, e sente il sangue montargli alla
testa. La reazione è immediata, sia dal punto di vista verbale che
fisico.
La
lite è assicurata.
Al
livello cerebrale le informazioni sembrano essere arrivate al
cervello razionale (neocorteccia) ma non è così.
Il
segnale uditivo viene processato da una parte del cervello, il
cervello “emotivo” (in particolare l'amigdala) che paragona
subito tale esperienza con esperienze passate cercando di capire come
gestire la cosa per la sopravvivenza.
Allora
tutta la persona, senza che ne abbia alcun sospetto, passa in
modalità “combatti o fuggi”. Il cervello emotivo
manda al cervello pensante (la corteccia cerebrale) segnali di
allarme che portano la persona a considerare lo scenario solo dal
punto di vista scontro/sopravvivenza.
In
realtà non c'è più pensiero razionale ma solo un “sequestro
emozionale” (come lo definisce Daniel Goleman) e la persona
crede di gestire la situazione, ma invece è preda di un
meccanismo, un “circuito emotivo” che si è acceso
improvvisamente e che è difficile bloccare.
Infatti
molti nostri comportamenti sono gestiti in automatico da meccanismi
che Laurel
Mellin definisce appunto “circuiti” emotivi.
Quando
ci alziamo la mattina e facciamo colazione, fino a quando accendiamo
la macchina e ci avviamo nel traffico, stiamo usando dei circuiti
preconfezionati che il cervello crea e adotta per risparmiare tempo
ed energie. Immaginate cosa diventerebbe la vita se per aprire una
porta ci dovessimo chiedere quali operazioni sono necessarie...
sarebbe una vita assurda.
Questo
meccanismo nasce per semplificare le operazioni giornaliere, ma in
alcuni casi il sistema va in tilt e il cervello emotivo manda segnali
“esagerati” alla parte razionale, che in breve crede di
prendere decisioni, ma non ne prende alcuna, perché il pilota
automatico è già stato inserito dal cervello rettiliano, la parte
più primitiva, quella che comanda il “combatti o fuggi”.
Purtroppo
anche una piccola svista verbale, un allusione mal interpretata,
possono innescare per sbaglio il corto circuito della violenza,
nascosto nel rettiliano e innescare una lite furibonda.
Significa
che il programma automatico, il circuito emotivo si è inceppato e
siamo fregati!
Il
monaco Zen invece ha una reazione differente davanti all'offesa.
Vede
la rabbia arrivare e se la fa passare sopra!
Non
considera l'offesa in sé, non cerca di razionalizzare, quando sa che
la razionalità è sfumata via. Non cerca di contrastare i propri
impulsi di risposta. Non rimane bloccato nel combatti o fuggi.
Si
limita ad osservare l'emozione sapendo che passerà, con la stessa
facilità con cui si è presentata.
Per
questo il saggio a volte sembra anche stupido, perché non reagisce
nel modo che ci aspetteremmo. Si fa scivolare via l'esperienza senza
troppe domande.
Sa
che la mente umana è come un fiume che porta ogni genere di pensieri
dal profondo, lieti o turpi, gioiosi o oscuri.
Il
monaco fa passare tutto senza giudicare.
Pratica
l'arte del distacco? No!
Pratica
una differente focalizzazione.
Ha
una profonda consapevolezza dei propri stati emotivi.
È
sempre in contatto con le proprie sensazioni/emozioni e non punta il
proprio sguardo sulla parte razionale perché sa che razionale non è.
Sa
perfettamente che la collera che monta è solo l'illusione di Maya,
un fraintendimento. Tutte le emozioni sono illusioni.
L'occidentale
definirebbe queste illusioni (soprattutto quelle colleriche) una
proiezione del sistema limbico e rettiliano, non della neocorteccia.
Ma
sia il monaco Zen che la neurologia hanno compreso che il meccanismo
innescato dalla collera non è altro che un circuito emotivo come
tanti altri.
Mentre
l'occidentale si azzuffa “pensando di pensare” il monaco
pone tutto il suo focus sulle proprie emozioni.
Ecco
finalmente cos'è la consapevolezza.
Tutti
parlano di questa benedetta consapevolezza ma nessuno la spiega.
La
consapevolezza si raggiunge non solo capendo i propri meriti o limiti
ma soprattutto avendo cognizione dei propri stati emotivi.
Significa
cambiare lo sguardo, cambiare il punto di vista.
Significa
non perdere tempo nella “ruminazione” continua alla ricerca del
perché delle cose, ma imparare ad osservare unicamente ed
esclusivamente ciò che il cervello emozionale prova.
Significa
domandarsi tutto il giorno:
cosa
sto provando?
cosa
sto provando?
cosa
sto provando?
Invece
di stare impallati sul perché mi ha lasciato (perché non mi
rispetta, perché non ho avuto il posto che meritavo, perché non ho
la felicità che desideravo, perché non sono bello/bella, perché
non si realizzano tutte le cose che io ho deciso che arbitrariamente
siano fondamentali e che devo assolutamente avere) potremmo
cominciare a rompere il circuito
dello stress puntando lo sguardo su qualcosa di veramente
produttivo: l'attenzione verso le nostre emozioni, accettandole
tutte, nessuna esclusa.
Ma
così scoprirò di essere invidioso, di essere anche meschino, di non
essere la persona bellissima e perfetta che vorrei essere?
Tu
cosa sei non lo sai, non puoi saperlo e quindi non puoi giudicarti!
L'abisso
dell'inconscio non ti permette di saperlo.
Scoprirete di essere delle
persone con pregi e difetti, in cui ogni emozione ha una sua ragione
di esistere, TUTTE, nessuna esclusa.
Hanno un significato, ma non
razionale. Sono un'illusione dal punto di vista razionale ma anche un
messaggio dell'inconscio. Sono il modo in cui ragiona la parte
profonda di noi stessi.
Quando abbiniamo la parola
“illusione” alle emozioni non è per darle un significato
dispregiativo, come se fossero menzogne.
Sono gli strumenti reali con cui
prendiamo le nostre vere decisioni e con cui fissiamo nella memoria
le cose importanti.
Più è forte l'emozione più il
ricordo è fisso e indelebile.
L'emotività
e l'istinto arrivano a comprendere cose che la razionalità non
arriva a comprendere.
Se un'emozione ci viene a
trovare c'è un perché. La natura non crea le cose a caso.
Soprattutto il nostro inconscio.
Se
cercheremo di capire questi concetti con la razionalità falliremo.
Se
cercheremo di viverli allora li comprenderemo.
Sono azioni, non teorie.
In realtà il monaco Zen ha
superato anche il momento della consapevolezza continua, perché i
circuiti dello stress gli si sono atrofizzati. Ormai la sua esistenza
è tutta più gioiosa perché ha deciso di gioire, ha compreso
che le emozioni sono circuiti, meccanismi automatici, di cui l'uomo
ha bisogno.
La rabbia è un'illusione.
Come ci si può disperare per un
illusione?
Amedeo Formisano
Post correlati:
Nessun commento :
Posta un commento