Capita
spesso nella vita di tutti i giorni che un senso di inadeguatezza ci
raggiunga e ci accompagni durante tutta la giornata.
È
la risposta alle normali frustrazioni della vita quotidiana che
sembra richiedere sempre nuove energie e competenze specifiche.
A
questo meccanismo si aggiungono anche le persone che pretendono da
noi un certo perfezionismo in tutto. Conosci un programma? Allora
smonta il Pc e aggiusta l'alimentazione! Invece non funziona così.
Conoscere un software non rende super esperti e non permette in modo
automatico di riparare una stampante guasta. Ma quante volte ci hanno
chiesto certe cose?
È
un po' la trappola del pensiero “tutto o nulla”, detto
anche pensiero “polarizzato”, in cui non sembrano esistere vie di
mezzo: o il progetto intrapreso è un successo clamoroso oppure è un
fallimento catastrofico.
Tale
distorsione di pensiero è stata studiata approfonditamente in
psicologia ed è alla base di molti disturbi che possono minare la
serenità mentale di ciascuno (vedi
Judith Beck e i suoi studi di Terapia Cognitiva)
Fa
parte di quella visione aberrata del mondo che costituisce la mappa
mentale distorta di molti.
Ma
il senso di inettitudine e di inadeguatezza sono poi veramente il
sintomo che qualcosa non va?
In
realtà, leggendo le varie biografie di grandi registi, uomini di
affari, uomini di cultura, emerge prepotentemente una realtà
differente.
Tutti
i grandi hanno sperimentato un senso localizzato di inettitudine e un
senso di inadeguatezza in uno o più campi della propria vita.
Il
regista Tim Burton,
nel suo bel libro Burton Racconta Burton (ed. Feltrinelli 2011)
racconta la propria inadeguatezza nel trattare con gli altri, visto
che da piccolo aveva pochi amici e trovava rifugio nel mondo del
cinema. Questa sua difficoltà in parte si proiettò all'inizio della
sua carriera quando doveva interagire con attori in carne ed ossa,
visto che Burton proveniva dal mondo dell'animazione. Anche nella sua
esperienza professionale confessa di essersi imbattuto in persone che
erano dei geni assoluti nel proprio lavoro ma rivelavano
un'inettitudine profonda in altri campi legati alla vita di tutti i
giorni.
Burton
ammette di sentirsi bene “soltanto quando sto lavorando e sono
concentrato su qualcosa”.
In
questo ricorda da vicino un altro genio del cinema: Alfred
Hitchcock,
che si sentiva realmente funzionante solo durante il lavoro.
È
come se tutta la sua esistenza fosse giustificata solo dalla
creazione di film geniali, al di fuori della quale “l'uomo” si
spegneva e la mente sembrava andare in letargo.
Certamente
non stiamo parlando di una situazione di sofferenza psichica, ma solo
di una certa opacità verso quelle mansioni ripetute e cosiddette
normali del comune vivere.
Famoso
è il caso di Albert
Eistein, che presentava una certa incapacità nei calcoli
matematici a scuola. Eppure ha saputo dimostrare in modo strepitoso
il valore della propria mente.
Cosa
succede allora nella mente di molte persone anche di valore?
Che
spesso vengono giudicate non per le loro potenzialità, che sono a
volte inespresse, ma per la loro attitudine allo svolgimento di
attività banali, che la vita ci impone tutti i giorni.
Quanti
di noi hanno conosciuto almeno una persona che sembrava essere sempre
brillante, vestire alla moda, esibire l'ultimo modello di cellulare,
riuscire a parcheggiare la propria vettura nei posti più
incredibili, corteggiare con efficacia belle donne e conoscere tutti
i ristoranti e i pub del pianeta, ma che poi difronte ad un problema
reale e definito sul lavoro si arenava completamente? Sanno tutto il
cosiddetto “saper vivere” ma poi mancano delle capacità
elementari per svolgere appieno un lavoro tecnicamente ben definito.
In
realtà i grandi uomini di cultura sanno applicare il potere della
focalizzazione senza lasciarsi traviare da concetti estranei alla
propria natura.
Ad
un Einstein non serviva saper parcheggiare la macchina o dimostrarsi
un donnaiolo capace, ma serviva solo il saper assecondare la
propria natura interiore, la ghianda di cui parla James Hillman
nel suo famoso libro (Il
codice dell'anima, ed. Adelphi 2009).
Come
penetra un chiodo nel legno?
Concentrando
tutta la forza in un unico piccolo punto!
Se
tentassimo di penetrare il legno con un chiodo con la punta smussata
o larga non riusciremmo a far nulla.
Invece
quando la superficie di pressione è minima anche pochi chili di
pressione sono bastevoli per penetrare il legno e raggiungere
l'obiettivo.
Vale
per il chiodo e vale per ogni attività umana.
È
inutile seguire sempre la corrente della normalità e del pensiero
comune. Sicuramente è meglio seguire la propria natura interiore,
concentrandoci solo su ciò che per noi ha reale valore.
Solo
così la nostra mente penetrerà i problemi diventando realmente
efficace.
Abbandoniamo
le pretese di perfezione e lasciamo i compiti comuni agli altri,
senza per questo sentirci sempre inadeguati o inetti.
Forse
l'inettitudine nasce dalla parte più nascosta della nostra anima che
cerca di esprimersi al meglio, lontano dalle mansioni quotidiane
standardizzate e cerca invece una propria nuova dimensione, che la
rispecchi pienamente.
Cerchiamo
di non farci spaventare dalle generalizzazioni altrui, di chi cerca
di sminuire tutto ciò che facciamo e cerchiamo dentro noi stessi
cosa veramente ha valore per noi.
Allora
qualcosa comincerà ad emergere naturalmente e l'inettitudine e
l'inadeguatezza scompariranno, lasciando il posto alla competenza e
alla sicurezza dell'efficacia, tutte cose positive di cui si alimenta
l'Autostima.
Vi
consiglio caldamente di leggere “Il codice dell'anima” di James
Hillman perché è un testo che può aprire nuove visioni sulla
realtà di tutti i giorni, allargando la mente del lettore in modo
poderoso.
È
un modo interessante di scendere all'interno dell'animo umano alla
scoperta reale di se stessi.
Amedeo
Formisano
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