Chi
lavora con l'istinto sembra avere una marcia in più.
Molti
imprenditori, soprattutto di vecchia scuola, pongono l'istinto su
tutto.
Certamente
saper ascoltare le parti più profonde della propria psiche è
fondamentale perché dall'inconscio giungono le grandi idee.
Il
problema arriva però quando queste persone si devono interfacciare
con i collaboratori per cercare di spiegar loro cosa devono fare per
raggiungere gli obiettivi di lavoro.
Infatti
rischiano di cadere facilmente nell'impasse, nel blocco comunicativo,
perché il loro business si è fondato esclusivamente su componenti
non razionali, cercando di ascoltare l'atmosfera del mercato,
sfruttando il momento opportuno o la situazione specifica che si è
creata da sé, ma senza saper creare da zero le condizioni necessarie
perché un business possa evolversi anche in condizioni sfavorevoli.
Diciamolo
chiaramente, molti hanno trovato il momento e il luogo giusto per
aprire un'attività di successo ma poi, chissà perché, tutto si è
impantanato alle prime vere difficoltà e hanno cominciato a
dimenarsi freneticamente in cerca di soluzioni salvifiche.
Conosco
molte ditte che sono partite con un discreto successo ma poi si sono
bloccate perché hanno smesso di evolversi.
Si
sono accontentate dei risultati ottenuti, del guadagno sicuro, ma non
hanno sviluppato le qualità che invece le grandi società
pluriennali hanno nel sangue:
un
vero motore di crescita che porti l'azienda sempre più in alto.
È
la ricerca del “motore di crescita” interno il vero core
business di una realtà imprenditoriale:
cosa
fa muovere il mercato verso le nostre idee in modo oggettivo e
verificabile affinché la ditta possa prosperare anche in tempo di
crisi?
A
questo le persone d'istinto non sempre sanno rispondere in modo
analitico ed oggettivo.
È
chiaro che un'idea ce l'hanno ma è sempre vaga, basata su doti
personali ma non su strumenti di valutazione chiari e verificabili.
E
poi l'ispirazione è altalenante, come gli stati emotivi, a volte c'è
e a volte fatica a presentarsi.
La
mente umana non è una macchina a comando che partorisce idee in
continuazione, ma piuttosto un'entità libera che trova le soluzioni
nella tranquillità, in un clima sereno e non vincolato.
Quanto
più la mente si sente “costretta all'azione” tanto più rischia
di entrare nelle “doverizzazioni”,
quelle imposizioni che ci arrivano da noi stessi o da chi ci sta
intorno e che ci “obbligano” al successo.
Questa
cosa DEVE andare bene altrimenti.....sarò finito, sarò povero, sarò
un fallito etc.
È
come quando nell'Analisi Transazionale si dice che una persona cerca
di essere Ok con se stessa solo:
se
si sente bella
se
si sente vincente
se
è forte
insomma
un cumulo di “se” che pongo il centro della propria efficacia in
mano ad eventi esterni e non sulle proprie spalle.
Queste
situazioni possono portare gli imprenditori ad una visuale distorta,
chiusa su di un insieme di doveri opprimenti, creando stati mentali
molto difficili da gestire.
La
crisi arriva, l'istinto sembra essere volato via e le soluzioni
sembrano allontanarsi sempre più.
...
I
collaboratori vengono scelti spesso in base all'istinto e devono
anche loro saper dimostrare di avere grandi qualità.
Così
comincia la pesca miracolosa, di persone valide, tramite lunghe
selezioni interminabili, che durano anni e che creano un grande
sconforto nel manager.
Per
la legge sulle probabilità prima o poi qualcuno valido incappa nella
ricerca ma poi l'azienda lo saprà valorizzare?
Saprà
formare sufficientemente queste persone?
Molto
spesso chi sia affida totalmente all'istinto non forma in modo
sufficiente i propri collaboratori perché manca egli stesso di una
vera formazione specifica.
Quindi
anche le sue doti comunicative sono naturali e non sempre
sufficienti.
L'unico
modo di uscire dall'impasse è quello di ammettere che l'istinto da
solo non basta.
Anche
i grandi sportivi devono sottoporsi ad allenamenti tecnici molto
specifici perché altrimenti le soli doti umane non bastano al
raggiungimento del risultato di punta.
Bisogna
considerare l'apprendimento e lo sviluppo personale come doti
primarie all'interno dell'azienda, perché la ricerca e
sviluppo parte dagli uomini, non dalle macchine o dai programmi di
investimento in nuove tecnologie.
Il
manager ha a che fare con uomini anche nel caso di catene
automatizzate, perché venderà i suoi prodotti ad altri uomini con
cui dovrà per forza interfacciarsi.
Se
un Team manager non riesce a spiegare in modo sufficientemente chiaro
gli obiettivi ai propri collaboratori si troverà sempre nello
scontento perenne.
Cosa
fare?
Bisogna
capire che anche chi ha costruito un business solo grazie all'istinto
deve poi potersi affidare a persone competenti, che grazie ad un
coaching mirato sappiano focalizzare i punti forti delle strategie.
La
crescita personale può mettere a nudo gli schemi mentali del manager
e può spiegare come la mente umana affronta il problem solving e la
creatività.
I
collaboratori devono essere creati con una crescita pilotata e
non con la pesca miracolosa, altrimenti la forza motrice del
“recruiting” è esterna alla ditta e puramente casuale.
Primo
esercizio: per capire se le proprie doti sono trasmissibili in
qualche modo ai collaboratori ponetevi questa domanda:
Riuscite
a riassumere in due parole il core business in cosa consiste?
Riuscite
a riassumere in due parole quale sia il vero motore di crescita che
manda in alto il fatturato?
La
spiegazione deve essere breve, poche righe. Se ne impiegate di più,
cercando di essere generici, allora significa che non avete ancora le
idee chiare e la colpa non è nei vostri collaboratori.
Il
manager deve assumersi in prima persona il compito di fare da coach
ai propri collaboratori e per farlo deve aumentare le proprie dosi di
- pazienza e
- comunicatività
Secondo
esercizio:
Sentite
dentro voi stessi la capacità di esprimere chiaramente ciò che
desiderate dal vostro gruppo oppure aspettate che gli altri lo
capiscano da soli?
Le
persone non possono entrarvi nel cervello e leggere fra le righe.
Devono avere i loro compiti espressi in modo chiaro e cristallino,
senza fraintendimenti.
I
compiti sono ben definiti o si sovrappongono?
Esiste
un metodo chiaro da seguire sul lavoro o preferite affidarvi alle
singole capacità di ognuno?
Perché
se la vostra azienda si regge esclusivamente su dei fuoriclasse
allora significa che il team non esiste, esistono solo dei campioni
che lavorano in autonomia.
Loro
sono il motore di crescita, non la ditta.
Loro sono a capo del business e
voi manager no.
Perché
un motore di crescita si possa individuare ci vuole metodo.
Ad
esempio potete utilizzare quelli della produzione leggera Toyota,
oppure quello di Eric Ries che ha definito nel suo bel libro “The
Lean Startup” (Partire
leggeri. Ed . Rizzoli).
Domandatevi
sempre: quanto investite all'anno su voi stessi e sulla formazione
dei vostri collaboratori?
La
vostra comunicativa funziona su tutti oppure avete l'impressione di
vivere in un mondo ottuso che non vi capisce?
Se
avvertite intorno a voi un mondo “ottuso e incomprensibile” forse
è giunto il momento di sviluppare una nuova prospettiva e il
coaching può aiutarvi a raggiungere in tempi rapidi tale traguardo.
C'è
tanto da studiare e leggere per poter sviluppare le doti necessarie
per vincere nel business e le “best practice” sono il modo
migliore di incamerare tecniche valide che fanno partire al meglio il
progetto, qualunque esso sia.
Basta
saper mettere da parte l'orgoglio di un successo isolato e capire
come trasformare qualcosa di episodico in un metodo chiaro e valido
per tutti, pienamente trasmissibile a tutti i collaboratori, in
modo da creare quel motore portante che possa fare la differenza in
un mercato sempre più aggressivo e difficile, in cui l'istinto non
basta più per essere competitivi al cento per cento, ma serve
“metodo”.
Amedeo
Formisano
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