Due
persone si incontrano per lavoro.
“Buon
giorno ingegnere.”
“Buon
giorno avvocato....” e così, dopo lo scambio di “carezze”
iniziali comincia il colloquio.
Ma
“chi” ha salutato “chi”? Una persona, che si è
posta una definizione sulla fronte, un post-it, con su scritto
“ingegnere”, ha salutato
un'altra persona che si definisce “avvocato”!
Tutti
i giorni, 24 ore su 24, gli appartenenti a questo mondo camminano con
un post-it piantato in fronte con su scritto qualcosa:
io
sono bello, sono brutto, sono fortunato, sono sfortunato, sono figo o
sono un “nerd”
sfigato, sono grasso, snello, sportivo, sono vincente o perdente,
insomma tutta una serie di etichette e dualismi che ci affliggono il
cervello, che ci plasmano e che creano le nostre convinzioni e le
nostre paure. Da dove viene tutto questo? Perché accade?
Per
capire cosa genera il nostro post-it dobbiamo prima capire come è
strutturata la psiche umana. E lo faremo con la schematizzazione
proposta da Pierre Daco, contenuta nel suo bel libro “Che
cos'è la psicanalisi.”
Esistono
quattro livelli che, partendo dal basso, definiscono l'esperienza
umana:
4.
l'inconscio istintuale
3.
l'inconscio collettivo
2.
l'inconscio personale
1.
l'io
fra
l'inconscio personale e l'io si annida il creatore malefico di
post-it:
il
super-io.
Partiamo
dal basso, dall'inconscio istintuale.
Ognuno
di noi prova delle emozioni che derivano da questa parte della psiche
che è la parte animale e indomabile. È il luogo delle pulsioni
elementari, come il bisogno di nutrirsi, il bisogno di difendersi e
di attaccare, l'istinto di vendetta. Quando qualcuno ci ferisce,
anche solo verbalmente, in noi può maturare il desiderio di
“vendetta e di morte” verso colui che ci attacca.
Contemporaneamente interviene la parte morale che mitiga la
situazione e razionalizza, evitando il peggio. Le pulsioni elementari
non vanno demonizzate ma solo comprese. Esse emergono in modo
naturale e incontrollabile ma questo non significa che non possiamo e
non dobbiamo controllare le nostre azioni. L'automobilista nervoso
può avvertire l'impulso ad uccidere chi gli ha rubato il posto
macchina ma certamente non è autorizzato in alcun modo a
perpetrare un delitto!
Avere
coscienza dei propri istinti ed imparare a conviverci serenamente
(nel rispetto delle regole comuni e della legge) è uno degli
obiettivi della psicologia. Fortissime possono essere le pulsioni
sessuali, indagate fin dai primordi della psicanalisi da Freud.
Se un ragazzo prova attrazione sessuale verso la sorella cercherà
comprensibilmente di sopprimere queste idee. Tali rimozioni
possono essere lesive nel tempo perché, se non correttamente
affrontate, creano un “complesso”, quando invece potrebbe
filtrare questo suo bisogno fisico in una relazione con
un'altra ragazza, senza crearsi problemi futuri. Una donna senza
figli potrebbe sublimare il suo bisogno di maternità
dedicandosi all'insegnamento, ai figli degli altri. La cosa migliore
sarebbe poter canalizzare correttamente gli istinti verso un
atteggiamento costruttivo, con l'aiuto della famiglia e di una buona
educazione. Il rimuovere, il filtrare, il sublimare,
l'incanalare sono tutti metodi che la nostra psiche adopera
per affrontare le pulsioni più profonde. L'educazione è spesso
l'anello più debole della catena, che crea una serie di giudizi che
reprimono gli istinti, avviando nei bambini una serie di deformazioni
per cui gli istinti sono una cosa brutta, sporca, da giudicare e
reprimere. Questo avviene quando la parte morale del genitore, l'Io
Genitore del padre o della madre, impone una “ingiunzione” al
figlio: io ti amerò se....se tu sarai buono,
accondiscendente, se sarai studioso, se non ti opporrai alle mie
decisioni etc (vedi l'analisi Transazionale di Eric
Berne, non contenuta nel libro di Daco). Così nasce quella parte
dell'inconscio personale da cui escono tutte le nostre fobie: il
super-io.
Il
super-io è incastrato
letteralmente fra la nostra coscienza vigile, l'io
e il nostro inconscio personale.
È quella parte dell'inconscio che detta i nostri comportamenti,
proprio quando crediamo che derivino dalle nostre scelte
raziocinanti, dalla nostra volontà, perché si sovrappone alla
volontà dell'io cosciente (perciò è “super”, cioè al di
sopra). Anche quando il super-io è sano e normale nascono una serie
di idee, credenze e pregiudizi che condizionano la nostra vita.
All'inizio il bambino è solo puro inconscio, in cui si forma la
prima struttura dell'io, che viene letteralmente plasmato
dall'educazione, giorno dopo giorno. L'inconscio
e l'io sono come due
sfere intersecantesi con una parte in comune che nel tempo diventa il
super-io. Se l'educazione procede in modo corretto ed equilibrato
l'individuo genera un “io forte”, che riesce a considerare le
pulsioni che arrivano dalla parte istintiva e dall'inconscio come
cosa normale e le affronta con serenità. L'”io debole”, invece,
ha paura di tali pulsioni, le esorcizza come se fossero mostri e così
facendo crea i propri disturbi, generando un super-io patologico.
Se
il manager ritiene che il lavoro debba essere assolutamente vincente
al primo colpo, altrimenti è un fallimento, forse ha maturato questa
impressione per il senso di angoscia che penserebbe di avvertire. Si
sentirebbe stupido e inutile, impotente. Penserebbe di essere
disprezzato e respinto dai collaboratori per cui solo il successo è
concepibile. Sotto sotto si nasconde un Copione
che detta la sua legge, che parte dal super-io e che impone regole e
pregiudizi, facendo sembrare le scelte razionali, quando razionali
non sono. Rientra nella condizione: Io sono ok se....se
sono vincente!
Tale
persona, più che di una crescita motivazionale, avrebbe bisogno di
un consiglio psicologico. Altrimenti anche la PNL potrebbe portare
squilibri, aggravando il Copione del cliente. Da qui nasce la
diffidenza della psicologia classica verso la PNL, che se male
applicata, rischia di rimanere un intervento troppo superficiale. Non
dimentichiamo che Bandler e Grinder specificarono subito che il
Metamodello
non sostituisce le varie tecniche terapiche ma può affiancarsi ad
esse, per guidare lo psicologo nella sua pratica professionale,
anche se fin dall'inizio la programmazione neurolinguistica si è
attestata sulla crescita personale, senza cercare di affrontare i
temi scottanti dei disturbi mentali e concentrandosi esclusivamente
sulla ricerca dell'eccellenza.
È
il super-io che, dall'inconscio, detta le credenze e influenza i
valori individuali.
La
nevrosi nasce dal conflitto fra le necessità individuali e le
imposizioni dell'esterno. L'inconscio cerca sempre l'equilibrio fra
dolore
e piacere. La nevrosi quindi è una reazione difensiva, un
tentativo di rimuovere le pulsioni istintive a discapito dell'io
cosciente. In casi patologici gravi il paziente aumenta la distanza
fra lui e la realtà innestando, un “personaggio” inventato con
cui parla, come se potesse udirlo e vederlo. È la Psicosi da
Innesto. Naturalmente questa invenzione non fa altro che aumentare il
divario fra il paziente e il mondo esterno, per evitare “il dolore”
che si avverte difronte alla costatazione clinica della propria
malattia.
L'inconscio
personale
è il luogo dove il super-io affonda le radici, dove le nostre
esperienze assumono significato.
Fra
l'inconscio istintuale e l'inconscio personale si frappone una zona
detta inconscio
collettivo,
teorizzata da Jung
che costituisce un mondo di archetipi comuni a tutti gli esseri
umani. Personaggi, simboli e immagini che sono presenti in tutte le
culture, come la figura della “dea madre” o del “saggio”.
L'influenza dell'inconscio collettivo si avverte continuamente nella
nostra vita e si ricollega alla teoria della sincronicità,
dove le coincidenze che ci accadono assumono un significato profondo,
capace di farci cambiare direzione e interessi.
Adesso
forse riusciamo ad intravvedere il perché di quei post-it piazzati
sul cervello, di tutte quelle inutili illusioni che noi ostinatamente
chiamiamo la realtà, tramite le definizioni errate di noi stessi.
Herman Hesse,
nel suo romanzo il “Lupo
della steppa” parla proprio di una persona che si crea una
definizione vincolante per la vita. Egli si vede come un lupo
solitario, che tutto vede e tutto giudica con sprezzante perbenismo.
Non si sente parte della società laida e borghese che lo circonda,
che vede come una terra straniera, dove “è
difficile trovare una traccia divina in mezzo alla vita che
facciamo”,
in un tempo privo di spirito, pieno di brutte architetture, negozi e
politici corrotti. Non riesce a condividere nulla di un mondo che gli
appare sfatto, privo di gioia.
Passa
il tempo crogiolandosi nella sua poetica definizione di se stesso,
quasi un Don
Chisciotte contro tutto e tutti. Quanti
di noi oggi sono caduti in questa tentazione? Quanti si sentono lupi
solitari in un mondo incomprensibile?
Eppure il protagonista del romanzo trova un fascicolo che gli svela
la realtà della sua visione, della sua “mappa”.
Esso
dice che il dualismo lupo/uomo non è da intendere solo come dualismo
fra uomo virtuoso/società corrotta, ma è da intendersi soprattutto
nel dualismo
ragione/istinto
(un problema dell'occidentale civilizzato). Il lupo separa l'umano
(la parte con le virtù) dalla parte istintiva. Così si avvia
l'eterna lotta tipo dottor
Jekyll e mister Hyde, in cui l'uomo, quando si abbandona agli
istinti primordiali da lupo, si sente giudicato dalla parte
intellettuale, mentre quando la parte raziocinante è all'opera si
sente giudicata dalla bestia in agguato, che deride il perbenismo
borghese dell'uomo di società. Hesse afferma che la definizione
“lupo nella steppa” è un post-it sul cervello, una
generalizzazione di una realtà più profonda, poiché
se il corpo è unico, l'anima è molteplice,
costituita da centinaia di sfaccettature di cui non abbiamo
coscienza. La cultura indiana considera invece l'essere umano come un
“conglomerato
di vite”,
tutte diverse fra loro, che si inseguono nella reincarnazione.
Il
buddismo ha capito e risolto da secoli questi temi e li ha superati
nello sviluppo del “non
dualismo”,
il superamento dei concetti di bene e male, giusto o sbagliato,
perché l'uomo risvegliato giunge ad una morale individuale
autentica, la vera virtù, senza coercizioni, senza sforzi o rigidità
interiori, poiché causare il male degli altri e il proprio gli
sarebbe ormai impossibile. Ecco perché la differenza fra bene e male
non esiste nell'uomo virtuoso.
Forse,
il raggiungimento dell'equilibrio fra morale e psiche, fra l'io
cosciente e l'io inconscio è il segreto dell'illuminazione.
Come
potete vedere il tema è vasto. Dall'antichità l'uomo si interroga
sulla propria psiche.
Ora
voi continuate a credere veramente di decidere qualcosa nella vostra
vita? Di essere questo o quello?
Avete
intravisto brevemente come ogni nostra scelta è dettata e incanalata
dai tre abissi (istinto, inconscio collettivo e personale) che si
spalancano sotto l'Io.
Ecco
perché crediamo di vivere secondo le nostre idee, pensiamo di essere
ingegnere o avvocato, creando tutta una serie di post-it sul
cervello, di definizioni vincolanti, e non ci accorgiamo che stiamo
vivendo in una proiezione mentale, di una serie di cose che
dall'esterno (l'influenza dei nostri genitori e conoscenti, gli
estranei che incontriamo, gli accadimenti vari) e l'interno (il
nostro vissuto emotivo) ci spingono avanti come foglie al vento.
Anche quando ci sentiamo saldi nelle nostre convinzioni più
granitiche il panico ci assale e ci riporta ad una dimensione più
modesta, una dimensione in cui siamo costretti per la prima volta ad
ascoltare la voce dell'anima, la voce di qualcosa che cresce
naturalmente dentro di noi e che abbiamo ignorato a lungo.
Ma
allora, noi abbiamo o non abbiamo scelta? Abbiamo un pallido potere?
Possiamo indirizzare la nostra vita?
Naturalmente
sì, ma non nel modo che vorremmo. Noi vorremmo il potere assoluto,
il controllo totale, tutte cose impossibili.
Andiamo
allo specchio e cominciamo a guardarci senza definizioni, né su noi
stessi né sugli altri. Ricordiamoci che tutte le definizioni sono
fasulle e solo quando cominciamo a rendercene conto possiamo
cominciare il vero ascolto di ciò che si nasconde dentro di noi,
accettandolo senza giudicare. Così cadono i progetti, cadono le
illusioni e cominciamo a vivere per quel quello che siamo e non per
quello che ci hanno detto o inculcato a scuola. Ogni volta che ci
definiamo non facciamo altro che depotenziarci, mettendo la nostra
testa in un secchio, in cui la visuale è pessima. Senza giudicarci,
le cose belle matureranno, da quel luogo oscuro e meraviglioso che si
nasconde nel nostro inconscio,
non più il luogo delle fobie ma il luogo delle risposte e delle
possibilità infinite.
A.F.
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