Come
mai oggi parliamo di due personaggi così differenti, come il tenente
Colombo e
Patrick
Jane?
Perché tutti e due sanno scavare nell'animo umano cercando le
risposte giuste. Sembrano saper leggere il pensiero altrui, Colombo
con un'estenuante analisi dei dettagli più minuti, Patrick Jane con
la lettura “magica” del linguaggio corporeo.
Ma
la lettura del pensiero non è qualcosa legato alla parapsicologia
bensì un fenomeno psicologico che interessa tutti. Scatta quando noi
crediamo di sapere cosa effettivamente un'altra persona stia
pensando.
Va
subito chiarito che il pensiero umano è una cosa molto complessa e
nessuno, neanche la buon'anima di Freud
poteva riuscirci. Dopo una lunga conoscenza può darsi che il
terapeuta possa ipotizzare il pensiero del proprio paziente, ma è
sempre un rischio, un'approssimazione che va fatta dopo molta
esperienza. Ecco perché lo sviluppo del Metamodello,
con tutte le domande che pone, riesce ad aggirare il problema,
chiedendo direttamente cosa l'altro stia provando.
Quando
la nostra compagna pronuncia la frase “tu non mi ami più!”
bisognerebbe subito partire con le domande giuste: “perché dici
questo? Cosa è successo? Da cosa parte questo pensiero?
Magari,
scavando si scopre che una piccola dimenticanza, che per noi non ha
valore, per lei è fondamentale. Noi uomini effettivamente siamo meno
romantici ed attaccati alle date, ma questo non vale per tutti. Anche
uscendo dall'ambito amoroso ci possiamo trovare continuamente sul
lavoro a dover affrontare accuse o discussioni che partono da
presupposti che sono difficili da analizzare. Perciò ogni
affermazione va approfondita, facendo attenzione alla struttura della
domanda, come è posta e il tono utilizzato. Non dobbiamo cedere dal
punto di vista emotivo ma dobbiamo vagliare la presenza di possibili
Generalizzazioni,
Cancellazioni e Deformazioni insite nella discussione, perché
solo esse possono dirci cosa stia succedendo. Utili possono essere i
segnali oculari
d'accesso, con cui poter capire se la discussione si incentra su
ricordi visivi o auditivi.
Anche
il terapeuta, difronte a discorsi vaghi del cliente, deve porre mille
domande per affrontare la struttura incompleta del discorso, la
cosiddetta “struttura superficiale”, e se è il caso deve poter
rispondere attingendo alle sue esperienze personali per tentare di
capire cosa il cliente stia cercando di comunicare. Questo assume il
nome di “ricerca trasderivazionale”. Pensiamo a espressioni
generiche come “avere un'incidente”, cosa vuol dire? Per alcuni
vuol significare una piccola abrasione al dito, per altri una
disavventura in macchina, per altri ancora una catastrofe immane.
Tutto dipende da come noi attribuiamo i significati. Ecco perché non
ci possiamo permettere di attribuire pensieri nostri agli altri.
Eppure lo facciamo continuamente. “Il mio amico mi vuole fregare
perché mi crede scemo”, “mia moglie fa la furba”, “il mio
capo pensa che io non abbia le doti necessarie”, e così parte la
sarabanda delle ipotesi, dei pensieri a volte infondati. L'unica
cosa su cui possiamo contare è il reale contenuto del dialogo, cosa
effettivamente venga detto, e il linguaggio corporeo utilizzato.
Solo così potremo capire “qualcosa” dei pensieri altrui,
abbastanza da porre domande mirate per risolvere l'enigma.
Se
guardiamo due telefilm incentrati proprio sulla lettura del pensiero,
Lie
to Me e The
Mentalist, scopriremo che i protagonisti capiscono molto dal
linguaggio corporeo e pongono una marea di domande, senza le
quali la soluzione sarebbe lontana.
Per
conoscere qualcosa di una persona è necessaria una grande
dimestichezza e convivenza, in cui si conoscono i valori
individuali e si abbiano tutta una serie di esperienze comuni che
cementino il rapporto.
Solo
allora cominciano ad affiorare quelle situazioni in cui due persone
sembrano pensare all'unisono, in cui la lettura del pensiero “sembra”
possibile.
La
morale del post è questa: anche con tutta la tecnica del mondo,
quando crediamo di sapere cosa pensino gli altri di noi, cerchiamo
sempre di diffidare di questi ragionamenti, perché siamo a rischio
“cantonata”.
Se
la psicologia ci insegna a diffidare delle definizioni su noi stessi,
figuriamoci come si debba diffidare dei giudizi da applicare al mondo
esterno. Ricordiamoci sempre che il nostro modello mentale del mondo
(la nostra mappa) è una cosa limitata e parziale.
Con
il tempo è possibile sviluppare un punto di vista più esterno,
quasi in terza persona, che permetta una visione più distaccata
degli eventi, con cui analizzare tutto ciò che ci accade.
Subiamo
una ramanzina dal capo? Non pensiamo a noi stessi come parte della
scena, ma cerchiamo di visualizzarla dall'alto, pensando “io non
sono qui, non sono questo”. Visualizzando la scena come esterna
a noi vedremo due persone che si affrontano e riusciremo meglio a
capire il contesto del discorso, i suoi punti deboli e forti, dove si
trova la ragione e dove il torto. È una cosa impegnativa ma che vale
la pena di essere affrontata per ristabilire un equilibrio interiore
veloce e riprendere il controllo della situazione. Ricordate le tre
P:
Permanente, Pervasivo e Personale e di come siamo abituati a
deformare tutto secondo lo stato emotivo del momento.
La
lettura del pensiero lasciamola a The Mentalist (che è anche un bel
telefilm) e sviluppiamo più capacità analitica e investigativa come
il buon vecchio tenente Colombo.
A.F.
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