Il
post che state per leggere parla solo apparentemente di scrittura ma,
in realtà, affronta la paura del rifiuto, del confronto,
una paura con cui tutti abbiamo a che fare prima o poi. Sono paure
che sperimenta lo scrittore, l'imprenditore, il libero professionista
e perfino il meccanico. Tutti siamo esposti alla paura del rifiuto.
Questo
argomento nasce da una intervista di uno
scrittore, Paolo Giordano (autore i “La
solitudine dei numeri primi”), in cui racconta il suo timore di
fallire.
Cosa
pensa uno scrittore, nell'accostarsi alla pagina bianca?
Il
timore del fallimento non è di tutti gli scrittori? Di tutti coloro
che si cimentano in qualche impresa?
Ho
chiesto ad uno scrittore Frank Iodice, di esprimere un suo parere sul difficile mestiere di
scrittore. Vi presento integralmente il suo contributo.
La
sfida dello scrittore
Fare
lo scrittore vuol dire creare dei mondi paralleli, vivere
costantemente da qualche altra parte fuggendo il reale e le regole
imposte.
Chi
sceglie di dedicare la propria vita alla letteratura, è sicuro di
non avere altra scelta. Lo fa per un'esigenza che non si può
insegnare, per un bisogno profondo di libertà. Raccontare storie,
dunque, può renderti libero. Ma a quale prezzo?
Vivrai
costantemente alla ricerca di qualcosa; non parlerai più di te
stesso, ma dei tuoi personaggi; non porrai più la tua felicità al
primo posto, ma quella degli altri; i tuoi libri si nutriranno della
tua libertà; la parte destra del tuo cervello avrà il tempo
necessario per la creazione.
Tutto
questo ti sembra più affascinante di restare otto ore in ufficio con
il capo che ti sorveglia? Ma essere uno scrittore vuol dire avere il
peggiore dei capiufficio: te stesso. Vuol dire trascorrere settimane,
mesi, davanti alla scrivania per completare un romanzo, lavorando
costantemente per ben più di quaranta ore a settimana.
Decidere
di scrivere e rischiare di morir di fame… Soltanto chi ha tenacia
ci riuscirà. Se vuoi scrivere la domenica mattina, giusto per
perdere un po’ di tempo, lascia stare! Non esistono scrittori della
domenica.
È
vero, questo lavoro ti fa paura; è il rischio di non essere
riconosciuto o quello di non avere trame nuove nella testa a farti
paura? Alla gente normale non piace correre dei rischi. Anche tu
vivrai la paura del rifiuto e quella del vuoto, ma dovrai imparare a
conviverci.
La
sfida, la gioia della creazione e la passione per la scoperta ti
faranno sentire utile, come un cannibale alla tavola di vegetariani,
e sentirai più forte la tua missione.
Quando
sarai sicuro di cosa ti aspetta, affronterai con più serenità
quest’attività e supererai le difficoltà che a mano a mano si
presenteranno.
Una
di queste difficoltà potrebbe nascere dal rapporto col tuo editore.
Tu sei un vero scrittore, un appassionato di letteratura vera e veri
libri, disgustato dall'idea del self-publishing e delle pubblicazioni
a pagamento. Riconoscerai, pertanto, il lavoro dei veri editori e dal
loro insindacabile giudizio dipenderà la tua riuscita. Una parte
della tua soddisfazione professionale dipenderà dalla pubblicazione.
Solo una parte.
Ma
gli editori sono anche dei venditori; oltre all'aspetto letterario
della tua opera, terranno anche conto di quello commerciale. Ti
chiederanno di cambiare un nome, un capitolo, talvolta di tagliare
un'intera parte del tuo libro, come tagliare un dito a un bambino. E
tu dovrai accettare, se vorrai pubblicare e ottenere il
riconoscimento che cerchi.
Parte
di questi cambiamenti prende il nome di editing, una fase necessaria
prima che un libro sia pronto per la pubblicazione.
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Una
volta, in Germania, volli cimentarmi nella difficile arte della
produzione del gelato. Girai per una settimana alla ricerca della
miscela perfetta; domandai a tutti i gelatai italiani di Wiesbaden
quali fossero le loro tecniche di produzione; volli guardare le loro
macchine mescolatrici. Insomma, ficcai il naso nel loro mondo. In
quell'occasione, compresi che l'unico modo per fare un ottimo gelato
sarebbe stato scoprire una mia personale tecnica; non c'era nessuno
che avrebbe potuto insegnarmelo.
Nel
corso degli anni, ogni autore affina le proprie armi e approfondisce
le sue ricerche; non c'è nessuno che possa insegnarglielo.
L'attività dello scrittore è sempre autodidatta. Non esistono
scuole che possano insegnare il modo migliore per costruire un
romanzo, perché probabilmente non esiste. Qualcuno dice che s’inizia
a parlare di romanzo da un certo numero di pagine in poi, qualcun
altro si basa sull’intreccio e il numero di personaggi per
distinguere un romanzo da un racconto. Tuttavia, non esiste una vera
regola nella stesura di un romanzo, ed è questo il suo reale
fascino.
Può
essere interessante il confronto con altri scrittori, ma non sarà
questo confronto a cambiare la tua tecnica narrativa. Una volta solo,
farai appello soltanto alla tua testa e alla tua magia; scoprirai i
tuoi segreti davanti alla tua carta, imparando a essere onesto con te
stesso, e ogni volta che sarai davanti a una pagina bianca, dovrai
essere disposto a perdere o a vincere, accettando entrambe le
possibilità per poterti migliorare.
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Leggendo
l'articolo di Frank vengono alcune considerazioni alla mente.
Prima
di tutto la forma letteraria dell'articolo, non è una mera
comunicazione tecnica ma una “narrazione”, perché il racconto è
la sua forma principale di espressione.
Frank
scrive che “chi sceglie di dedicare la propria vita alla
letteratura, è sicuro di non avere altra scelta.” È una frase
interessante, che mostra come spesso non siamo mossi dalle nostre
convinzioni o desideri ma da qualcosa di più profondo che ci spinge
in avanti senza che gli si possa resistere. È come se la scrittura
non fosse una questione di scelta ma una questione “esistenziale”.
Uno scrive perché è già scrittore, non lo diventa con lo scrivere.
Il narrare è dentro di lui.
Quale
parte abbiamo nelle nostre scelte? Possiamo veramente motivarci o non
dobbiamo far altro che metterci in ascolto di quello che si annida
nell'inconscio, senza fare troppe domande? Forse il talento è
qualcosa che nasce naturalmente, qualcosa come il respirare e il
camminare, qualcosa che si vorrebbe pilotare ma invece va solo
liberato, perché è già dentro di noi.
Frank
ricorda che la scrittura non è per gli scrittori della domenica, nel
senso che bisogna fare come disse Jack
London, cioè scrivere in continuazione. È così che London
creò Martin Eden, Zanna Bianca e Il richiamo della foresta, libri
scritti con il sangue, con una passione e una determinazione
incredibile che lo portarono a scrivere per giornate intere, in cui
tutto il mondo sembra passare in secondo piano, tranne lo scrivere.
Allora si capisce che la scrittura non è una scelta ma una
vocazione.
Altro
problema fondamentale è quello della paura. Frank scrive “Anche
tu vivrai la paura del rifiuto e quella del vuoto, ma dovrai imparare
a conviverci”. La paura del
giudizio altrui è una delle paure più grandi che possiamo
sperimentare nella vita. La proviamo continuamente, a scuola, nella
vita sentimentale, sul lavoro. Ogni essere umano desidera
l'accettazione dei suoi simili, perché da questo deriva la
costruzione dell'autostima. Senza l'approvazione altrui ci sentiamo
perduti. Purtroppo la cerchiamo nel modo sbagliato, cercando conferme
negli altri e non in noi stessi.
Lo
scrittore deve scendere a patti con questo demone e deve vincerlo,
perché se lo troverà difronte in ogni riga, ogni parola. Può farlo
solo se segue la sua strada, una “sua filosofia di vita”, come
proclamava Jack London, che sia solo sua e di nessun altro. Seguendo
la strada che si conforma al proprio talento lo scrittore può
trovare la sua dimensione al di là dei giudizi altrui, al di là del
successo. È come la via di Siddharta
di Herman Hesse: è un percorso verso la “propria” illuminazione,
non un'illuminazione derivante da un dogma prefissato.
Frank
conclude dicendo in fondo questo, ogni scrittore deve trovare la
propria via, il proprio modo di esprimere il suo universo interiore,
abbracciando con coraggio la vita, perché ha imparato che o ci si
butta nella mischia o si rimane a guardare le vite degli altri.
Aggiungerei
anche un altro problema tipico della scrittura: il terrore del foglio
bianco. Partire da zero è sempre problematico e saggezza vorrebbe
che noi ci accostassimo al foglio bianco con qualche idea già
sviluppata in mente. Sarebbe meglio se la scrittura partisse da
qualche appunto, qualche scaletta che indichi la strada da
percorrere, altrimenti si rischia di perdere l'orientamento. Anche
grandi scrittori come Stephen
King possono trovare difficoltà scrivendo, senza avere una
chiara idea di cosa si voglia trasmettere. Infatti, King ammise che
uno dei suoi romanzi più famosi, L'ombra
dello scorpione (936 pagine Horror) sembrava non trovare una via
di uscita perché fu scritto senza una chiara scaletta degli eventi,
senza sapere la conclusione. King voleva “sorprendersi” nella
scrittura e rischiò di perdercisi.
Anche
gli architetti presentano lo stesso problema. Non ci si accosta mai
al PC senza avere una idea di base disegnata su un foglio di carta,
altrimenti è impossibile creare qualcosa di valido. Perciò sarebbe
da rivalutare la capacità di disegno manuale nelle facoltà
italiane, cosa purtroppo sottovalutata.
L'artista
in generale non mette in scena solo “l'opera”, ma tutto se
stesso. Quando Milo Manara
disegna le sue pin-up erotiche esse riflettono inevitabilmente i suoi
gusti, le sue fantasie. L'artista non è come un idraulico che alla
sera, quando ha finito il lavoro, chiude bottega e torna a casa,
smettendo i panni di idraulico, il suo lavoro non riflette le sue
idee. L'artista è sempre se stesso e spesso porta il proprio lavoro
ovunque. Non è un problema che affrontano anche molti manager? La
mente non stacca mai e nasce lo stress, perché ci appiattiamo su di
un'immagine unica di noi stessi, senza permettere alla vita di
stupirci con le sue novità.
Mi
sembra che Frank Iodice abbia descritto con sintesi e chiarezza i
problemi che lo scrittore incontra tutti i giorni, anche se il tema è
enorme e ci sarebbero da scrivere libri interi sull'editoria, sui
problemi del lavoro in Italia oggi.
Ma
se guardiamo bene fra le righe scopriremo che i problemi dello
scrittore sono anche i nostri problemi, i nostri errori, le nostre
paure, che ci accomunano tutti e ci rendono fragilmente ma
magnificamente umani.
Per
approfondire questo tema vi consiglio un libretto di Jack London che
si intitola: Pronto
soccorso per scrittori esordienti.
Potete
conoscere Frank e le sue opere su Facebook
o seguirlo sul sito articoliliberi.com.
Grazie al dott. Formisano per aver scritto nella stessa pagina il nome Frank Iodice e Jack London...
RispondiEliminaArticolo molto interessante del nostro Frank che leggo solo ora. Peccato, avrei scoperto sei mesi fa quanto è necessario essere determinati e amare ciò che si fa!!!
Eleonora DB