Una
sera, una mia cara amica, confidandosi con me, mi parlò del fastidio
che provava, ogni volta, a dover aspettare e tollerare gli
incredibili ritardi che faceva una sua conoscente. Questa persona
sembra che sia una ritardataria cronica, totalmente incapace di
rispettare un orario, anche quando l'evento a cui deve partecipare è
importante. Quante volte ci siamo scontrati con persone del genere e
abbiamo provato la stessa irritazione?
Noi
uomini siamo abituati ad un certo ritardo “istituzionale” delle
nostre compagne, anche se non è una regola generale. Conosco molte
donne che sono pignole e precise, preferendo arrivare in anticipo
piuttosto che sgarrare sull'orario di un appuntamento. È un problema
trasversale che colpisce anche molti uomini. Per cercare di spiegare
tale situazione potremmo essere tentati di “psicanalizzare” tali
comportamenti, scovando ragioni profonde nella costruzione del
carattere, possibili motivi familiari e tutte quelle amenità che si
sentono spesso in giro.
Il
problema è che non possiamo entrare nella testa delle persone!
Cosa
spinge una persona ad un dato comportamento? È un mistero che noi
non possiamo risolvere.
Spesso,
tali ragioni, non sono comprensibili neanche al diretto interessato,
come non sono chiari i nostri stessi comportamenti e le nostre
convinzioni e credenze profonde.
Se
è difficile girare nel nostro cervello, sarà quasi impossibile
capire quello altrui (naturalmente solo uno psicologo, con un'analisi
accurata, ci potrà riuscire....... almeno si spera).
Bisogna
essere pratici e capire questo concetto di fondo, altrimenti si
rischia di perdere il contatto con la realtà. Ricordiamoci che la
consapevolezza (secondo lo psicologo Eric
Berne) è la capacità di separare la realtà interna (possibili
motivazioni cervellotiche) da quella esterna.
In
un libro di Martin
Buber (eminente filosofo e teologo del novecento) si legge la
domanda di un rabbino alla propria comunità:
“Cosa
chiedo a ciascuno di voi? Tre cose soltanto: non
sbirciare fuori di sé, non sbirciare dentro gli altri, non pensare a
se stessi.”
Quindi,
siamo chiamati a rispettare l'anima degli altri, astenendoci dal
tentare di entrarvi con mille spiegazioni inutili. Solo così
eviteremo giudizi lesivi sul mondo e su noi stessi.
Vi
domanderete, ma allora cosa possiamo fare?
Possiamo
sicuramente “osservare il processo”.
La
mia amica mi confidava che questa persona, prima di uscire, compie
alcuni rituali particolari, che sicuramente molti riconoscono.
Comincia con una una bella doccia, applica un balsamo sui capelli,
cura molto il suo look, sia come abiti che come trucco, anche se
l'aspetto finale non è vistoso. Insomma, è una persona molto
curata. Questi passaggi, in cui la mente si perde ed entra nel “senza
tempo” (come dice Raffaele Morelli), sono dei “micro obiettivi”
importanti, che sembrano distogliere la sua mente dall'obiettivo vero
di tutto il rituale: uscire per incontrare gli amici, ad una certa
ora.
Non
sappiamo perché queste fasi siano così importanti, ma appare chiaro
che questa persona le avverte come necessarie.
Osservando
il processo capiamo un concetto fondamentale: quel ritardo non è
contro di noi!
Non
è un tentativo deliberato di esasperarci o di “considerarci poco
importanti”. È una necessità tutta sua, di cui non ha coscienza.
Certamente, il curarsi, il trucco ben applicato, la giusta
acconciatura come la calzatura adatta, sono cose che forniscono una
maggiore sicurezza quando una donna interagisce con gli altri, siano
essi estranei o amici. Forse c'è un bisogno di autostima da
soddisfare, ma capire perché sia nato è cosa quasi impossibile e
del tutto inutile.
Possiamo
cercare di intervenire e cambiare le abitudini scorrette dei
ritardatari? Io penso che non sia il caso. Cercare di cambiare le
altre persone, adattandole ad un'immagine predefinita che rappresenta
un nostro modello mentale, è la cosa più scorretta. Dire “
bisogna accettare le persone per quel che sono” significa ricadere
in uno stereotipo. La cosa più concreta da fare è questa: cambiare
il nostro atteggiamento rispetto al ritardatario. Non possiamo
cambiare l'altro, ma possiamo cambiare noi stessi. Possiamo
prendere coscienza del processo che porta al ritardo, del processo
che porta alla nostra reazione emotiva e già solo questo costituisce
un passo avanti.
La
comprensione delle cose ci pone in uno stato mentale differente, più
costruttivo. Non cerchiamo di reprimere il nostro fastidio ma, se
possibile, cerchiamo di avviare un discorso da Adulto ad Adulto, in
cui esponiamo chiaramente perché quel ritardo ci ha procurato o ci
procura un disagio. Dobbiamo essere sempre ancorati alla realtà
momentanea che stiamo vivendo, il “qui e ora”. Cara Marisa,
il tuo ritardo di oggi ci ha impedito di andare al cinema, perché a
quest'ora non ci lasciano più entrare in sala. Caro Filippo
sbrighiamoci, che la laurea di Gianni non può attendere. Ogni nostro
sollecito deve essere sempre ben circostanziato e motivato. Le
recriminazioni generiche (del tipo “sei sempre in ritardo, cosa
devo fare con te?”) non servono a nulla. Acuiscono il problema,
senza che la persona possa prendere coscienza dell'eccessiva lesività
dei propri rituali.
Se
il ritardatario cronico vi fa irritare, perché frequentarlo? Forse
non corrisponde ad uno dei vostri valori
individuali. Perché trascinare quel rapporto ancora nel tempo?
Molti
saggi dicono che per cambiare il mondo dobbiamo prima cambiare noi
stessi. Non si parla di filosofia, ma di un atteggiamento pratico. Il
manager che vuole migliorare l'atmosfera di lavoro nel suo team sa
che prima deve cambiare il suo atteggiamento rispetto i
collaboratori. Se lui non cambia, il clima emotivo non migliorerà.
Cambiando
il nostro approccio possiamo influire immediatamente sull'ambiente
circostante.
Sviluppare
uno sguardo più alto, in terza persona, potrebbe aiutarci a guardare
con il giusto distacco le cose che ci accadono e a comprendere i
meccanismi che le muovono. Il mondo non gira intorno a noi, siamo
solo parte di un meccanismo.
È
un processo difficile da capire, che richiede tanto esercizio, ma è
pienamente raggiungibile.
A.F.
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